PescaCosti/effetti Uno dei fattori che maggiormente contribuiscono al declino del pesce, è la perdita ed il degrado del proprio habitat, sul quale i pesci fanno affidamento per la fecondazione, lo spostamento ed il nutrimento. La perdita potenziale di un habitat completo rappresenta una seria minaccia all’ambiente ed all’ecologia, dal momento che l’habitat è fonte di sostentamento per migliaia di specie diverse. Dal 1953 al 1977, negli USA, oltre 327000 acri di terreni paludosi estuarini sono scomparsi, un 55% a causa dell’erosione delle coste ed un 45% come conseguenza dello sviluppo urbano. Gli habitat costieri ed estuarini sono molto importanti per il mantenimento delle riserve di pesce in buona salute. Le paludi di marea forniscono vivai e foraggio ad una grande varietà di specie marine. Le piante che si possono trovare in tali paludi forniscono inoltre sostanze nutrienti all’ecosistema circostante. Quelli delle spugne ed i coralli d’alto mare sono tra gli habitat più vulnerabili nel Pacifico del Nord e sono stati presi pochi provvedimenti per proteggerli. Le barriere coralline rappresentano le comunità con maggior diversità dei nostri oceani e molte di loro sono cresciute nell’arco di centinaia o addirittura migliaia di anni. La loro intricata struttura fornisce agli animali dei rifugi dai predatori, spazi per la riproduzione ed infinite possibilità di nutrimento. Le barriere coralline sono però minacciate dalle pratiche in uso corrente della pesca. La pesca a strascico utilizza attrezzature di pesca che distruggono gli habitat dei fondali i quali poi per ricostituirsi necessitano di secoli. L’utilizzo della dinamite è un’altra pratica comunemente in uso in quanto assai efficace per sterminare tutti i pesci che si trovano nelle vicinanze. Basta una sola esplosione per fare tabula rasa di un segmento corallino. Nel Sud Est Asiatico l’80% delle barriere stanno morendo o sono già morte. All’incirca ¼ di tutto il pesce pescato ed issato a bordo di battelli da pesca annualmente viene rigettato in mare, di solito moribondo o morto. Secondo stime FAO, i battelli da pesca commerciali rigettano in mare approssimativamente 27 milioni di tonnellate l’anno di pesce accidentale. Assieme al pesce accidentale, spesso rimangono impigliate nella rete anche molte altre specie marine, oppure uccise durante le operazioni di pesca. Decine di migliaia d’albatross vengono uccisi ogni anno nell’oceano dell’emisfero sud dalle navi da pesca a palangro. Le reti utilizzate con l’obiettivo di procurarsi una o due specie di pesce con valore commerciale uccidono indiscriminatamente milioni di creature marine. I mammiferi acquatici spesso rimangono uccisi in grandi quantità durante lo strascico, reti standard e sciabiche. L’industria della pesca è formata da due gruppi principali: i pescatori ed i battelli da pesca meccanizzati su larga scala. Direttamente ed indirettamente essi impiegano circa duecento milioni di persone in tutto il mondo. Un declino costante nelle riserve di pesce di valore commerciale porterebbe come conseguenza il collasso dell’industria e la conseguente perdita d’impiego e mezzi di sostentamento. Attualmente le cifre relative alla pesca si aggirano attorno alle 80 tonnellate l’anno. È logico attendersi un aumento della richiesta tra i 110 ai 120 milioni di tonnellate l’anno per il 2010. Tale domanda ha effetti collaterali non solo a livello ambientale e diversità biologica marina ma anche, probabilmente per ciò che riguarda la sicurezza alimentare mondiale. Si è ritenuto che l’acquicoltura potesse fornire una soluzione all’eccesso di pesca. Il concetto dei vivai controllati a prima vista sembra ottimo ma contribuirebbe solo alla soluzione di una parte dei problemi. Alcune delle specie allevate nei vivai sono i salmoni ed i gamberi. Essendo queste specie carnivore, per poter fornire un’alimentazione adeguata ai volumi incredibilmente alti presenti nei vivai, si dovrebbe far ulteriore ricorso alle risorse dell’oceano. Questo tipo d’allevamento, inoltre, può causare la dispersione di pesticidi, antibiotici e chimici nell’oceano ed una concentrazione di rifiuti peschivi naturali superiore alla norma. Le specie non native vengono introdotte nei vivai per far fronte alla richiesta di mercato e possono finire nelle idrovie circostanti, compromettendo la catena alimentare. |